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Presentazione

IIl Festival dei due Parchi “A spasso nei sentieri… dell’arte e della cultura tra i popoli” nasce nel 2010 ad iniziativa della dottoressa ascolana Italia Gabriella Sorgi e dello IASSC di Ascoli Piceno, associazione culturale dalla stessa fondata nel 2003.Esso nasce come progetto volto ad evidenziare il “buon senso” di una parte creativa del nostro territorio, volendo dar vita ad una sorta di unione simbolica tra il Parco Nazionale dei Monti Sibillini e il Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Non a caso, infatti, il Festival ha mosso i suoi primi passi dal territorio di Arquata del Tronto, terra di confine, dalla collocazione geografica privilegiata quale punto di incontro tra i due Parchi. Un territorio straordinario ma tuttavia poco conosciuto e lontano dalle ribalte del turismo che certamente prediligono le zone costiere marchigiane; eppure questo territorio solcato dalla Salaria, ricco di storia e di bellezza ha commosso l’animo di molti artisti sensibili, come il grande regista Pietro Germi che in questi luoghi ha girato il film “Serafino”.
Prendendo il via da Arquata del Tronto, il Festival raccoglie e dà continuità a idee e attività che gli Istituti IASSC ed IPAEA avevano già avviato in questi stessi luoghi, dal 2003. A onor del vero, quelle esperienze e lo stesso Festival, hanno insegnato che non solo le ribalte lontane, ma anche una certa asprezza delle genti è a guardia di questo stupendo microcosmo ambientale, naturalistico e culturale dell’Italia minore, cosi detta.
I monti azzurri (Sibillini) come amava chiamarli il poeta Leopardi, in particolare il loro “versante magico” sud orientale che prosegue senza soluzione di continuità nei Monti della Laga, un tempo, nel medio evo, erano creduti popolati da demoni, sibille, negromanti e streghe. Ciò testimonia simbolicamente una sorta di veto all’accesso che non è dovuto a impervietà, peraltro sono luoghi dove il legame tra l’uomo e la natura è forte quanto antico. Oggi demoni e sibille non ci sono più, ma aleggia ancora una certa ritrosia delle genti; generose, si, ma anche gelose del loro angolo di paradiso e non inclini a rivelare a chicchesia segreti e bellezze, ancor oggi.

Con questa consapevolezza, il Festival non cerca di promuovere la conoscenza, la tutela o la frequentazione dei luoghi, a cui già sono preposti molti soggetti e istituzioni. Piuttosto, intende raccogliere e valorizzare con linguaggi rispettosi e appropriati le energie che albergano qui, quelle emergenti di ieri, di oggi e quelle che si volgono al domani. Anch’esse, proprio come gli animali e le specie botaniche protetti non si lasciano intravedere facilmente. Non sfugge agli attenti conoscitori di queste zone, che altro è il mostrarsi e il mostrare bellezza, altro è amare profondamente la bellezza; qui prevale l’intenzione della Continuità, altrimenti fa capolino l’Apparire e con esso, come sempre, l’Effimero.
L’effimero non si addice alla sacralità della montagna; sacralità che scaturisce dai sacrifici a cui ti portano la vita dura, le esperienze forti e faticose che richiedono allenamenti e tempi lunghi, come quando scali le vette, i pendii, i dirupi e, infine, raggiungi quei luoghi stupendi dove senti
la bellezza vibrare “dentro di te e tutta intorno a te”.
Nessuna bellezza esteriore sarebbe la stessa se quel cammino faticoso, quell’aspro allenamento, non venisse a renderla sacra. Per questo gli eventi del Festival, quelli ormai consolidati e quelli che ogni anno fioriscono, non scaturiscono da soluzioni pre-confezionate o da ricette efficaci secondo i canoni di teorie in auge che garantiscono la migliore visibilità e attrattiva. A queste il Festival preferisce linguaggi e modi suoi propri; chiarisce il sottotitolo che si tratta di un “andar a spasso tra i sentieri dell’arte e della cultura tra i popoli”.
Vuol ripercorre antichi tratturi che sono luoghi fisici, ma anche esperienze di vita vissute sulla pelle; si pone all’ascolto delle persone, delle storie, dei luoghi, delle suggestioni, delle evocazioni, delle promesse mancate, delle aspirazioni, dandogli forma e voce.
Ogni evento del Festival narra dell’amore per questa terra di chi vi è nato, di chi vi è stato accolto, dei talenti o dei geni grandi o umili che vi hanno trovato riparo. Lo fa senza troppo rivelare, sommessamente, con rispetto di quel carattere, di quel particolare connubio tra uomo e ambiente che qui si realizza ed è unico.
E cerca linguaggi adeguati, cerca metafore per dare nuove ali ai sogni o agli amori spezzati. E spera! Spera che possano tornare a volteggiare, come le aquile, ancora e a lungo sopra le vette, fino a sera. Fino a che scopri che la notte s’inchina d’innanzi al Monte Vettore e gli porge l’aureola del sacro che emana bagliori color indaco prima di farlo assopire.












   
 


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